Salve
lettori, oggi voglio presentarvi uno scrittore eccezionale. Trattasi di Massimiliano Colombo, di cui vi ho già
parlato qualche settimana fa, avendo postato la recensione al suo primo
romanzo, La legione degli immortali. Conosciamolo meglio.
BIANCANEVE (B):
Buongiorno Massimiliano, grazie per aver accettato di farti intervistare e
benvenuto nel mio blog. Leggendo la tua biografia sul tuo sito ufficiale (http://www.massimilianocolombo.eu/)
si scopre che hai fatto parte della Brigata
Folgore – 2° Btg. Paracadutisti Tarquinia. Ci parli di questa esperienza?
MASSIMILIANO COLOMBO
(MC): Durante la visita militare, in un distretto dove si
aggiravano uomini in divisa dalle spalle ricurve e abbruttiti dalla noia, ho
visto un sottufficiale che camminava a
testa alta, lo sguardo fiero, i modi decisi. Portava un basco amaranto, era un
reclutatore della Folgore.
Contrariamente
al pensiero dei più, di cercare incarichi comodi e poco lontani da casa, dopo
aver visto quel paracadutista io firmai come volontario per scegliere la strada
più difficile che si potesse prendere. Volevo mettermi alla prova, volevo quel
basco.
Il
destino ci mise del suo, fui accettato, quindi arruolato alla Scuola Militare di Paracadutismo e
successivamente destinato ai reparti operativi con l’incarico di comandante di
squadra di fucilieri paracadutisti.
Quella
decisione mi ha reso fiero per tutta la vita. Aver fatto parte dei fucilieri
della Folgore, meglio conosciuti come “assaltatori” e aver superato gli
addestramenti, i lanci e le pattuglie non è stata un’esperienza facile da
affrontare ed è qualcosa che non si può dimenticare. È qualcosa che ti rimane
dentro per sempre. Tutt'ora, di fronte a momenti difficili, ricordo a me stesso
di essere stato un fuciliere della Folgore.
B:
Il tuo incontro con la storia risale a molto prima di imbatterti nella versione
estesa del De Bello Gallico di Cesare, da cui ha avuto origine il tuo
primo romanzo, L’Aquilifero, poi rivisto e pubblicato come La
legione degli immortali. Ricordi come è nata questa passione? Puoi
raccontarci un aneddoto?
MC:
Se torno indietro a pensare ai miei giochi di bambino, mi rivedo con i
soldatini romani ad affrontare battaglie e assedi. Da sempre ho amato i
legionari, da sempre ho subito il loro fascino. Non so perché, non c’è una
spiegazione, è qualcosa che porto nei miei geni.
A
dieci anni ho chiesto ai miei genitori di portarmi a Roma a vedere il Colosseo
e la tomba di Cesare. Ricordo che rimasi deluso da quel piccolo ammasso di
mattoni e terra, ma, allo stesso tempo, fui affascinato dai fiori e dai
biglietti che la gente vi deponeva sopra.
Trentacinque
anni dopo sono tornato su quella tomba a lasciare il mio libro in suo onore.
B:
Tu pubblichi con una casa editrice importante. Qual è stato il tuo iter?
MC:
Ci vorrebbero pagine solo per rispondere a questa domanda. Io ho cominciato a
scrivere per puro caso. Ero estraneo al mondo editoriale, ma sentivo di aver fatto
un lavoro che meritava la pubblicazione. Cavalcando l’onda dell’entusiasmo, ho
cominciato a spedire copie alle case editrici, ma poi, con il passare del tempo
e senza ricevere alcuna risposta, ho cominciato a perdere fiducia. Ebbi il
primo contatto con un piccolo editore un anno più tardi e sentii finalmente di
essere vicino alla meta, fino a quando questi non mi chiese seimila euro per la
stampa di duecento copie. Lì capii che tutti potevano pubblicare un libro
pagando, indipendentemente dalla qualità dello scritto.
Passarono
altri sei mesi prima che mi imbattessi in modo del tutto casuale nel sito web
di una casa editrice specializzata in opere prime e decisi di mandare una copia
del racconto. Venni contattato nel giro di pochi giorni e mi fu spedito un
programma di massima presentato egregiamente. Proponevano una tiratura di
duemila copie da distribuire su duecento librerie sparse sul territorio
nazionale. La strategia c’era o, per lo meno, era ben presentata, ma l’intera
spesa sarebbe stata totalmente a mio carico, che in questo caso triplicava
rispetto a quella prima e assurda richiesta nel sottoscala.
Fu
quello il momento in cui dissi a me stesso che forse era meglio abbandonare
l’idea di scrivere un libro. Non era proprio il caso di affrontare una simile
spesa per pubblicare una storia che forse, non avrebbe mai interessato nessuno
e, proprio nel giorno in cui decisi di abbandonare, venni contattato dal mio
direttore generale che aveva letto il mio libro rimanendone affascinato e, dopo
aver sentito la mia storia, aveva deciso di sponsorizzarne la pubblicazione.
Ci
vollero altri quattro anni perché una di queste copie finisse nelle mani di un
grande editore che ne volle acquisire i diritti per ripubblicarla con un nuovo
titolo e un nuovo editing. In tutto quel tempo io non ho mai smesso di scrivere
e di crederci.
B:
Nei tuoi romanzi ambientazione ricorrente è la Britannia barbara e romana. Un’ambientazione particolare,
soprattutto tenendo conto che non ti occupi del ciclo di Artù (come fa invece Jack Whyte con le sue Cronache
di Camelot). Come mai questa scelta?
MC:
Sono affascinato dal mondo celtico e dall'Inghilterra in genere. Inoltre
dobbiamo pensare che ai tempi del primo sbarco di Cesare, la Britannia era per
i romani una sorta di pianeta misterioso, remoto e inesplorato, un’isola
nascosta dalle nebbie, dove si vociferava di grandi ricchezze ma anche di arti
magiche oscure e di nemici terribili. Aver oltrepassato quel braccio di mare è
stata un’impresa epica, che noi del terzo millennio possiamo solo lontanamente
immaginare.
Dopo
i due sbarchi di Cesare, la Britannia è tornata a essere qualcosa di isolato
dal mondo romano. Selvaggia, esotica, pericolosa. L’Imperatore Claudio nel
secolo successivo ha di nuovo portato le legioni sull'isola, cosa che ha
portato all'incontro – scontro di due civiltà agli antipodi. Ciò poi – a mio
parere – ha dato origine a qualcosa di grande. Le locali popolazioni celtiche
si romanizzarono, nell'attuale Inghilterra, in poche generazioni e, a
pacificazione avvenuta, la Britannia divenne un'area dell'Impero romano
relativamente felice e sviluppata.
B:
In Draco,
l’ombra dell’imperatore abbandoni l’epoca tardorepubblicana e
dell’inizio dell’impero e, con un salto temporale notevole, ci ritroviamo nel
mondo tardoantico, un mondo spesso sottovalutato dagli storici e, ancor più,
dagli scrittori di romanzi storici! C’è un motivo particolare che ti ha spinto
a considerare questo periodo?
MC:
L’idea iniziale di un romanzo sull'imperatore filosofo è nata proprio per
cambiare direzione verso la massa dei romanzieri storici dell’antica Roma che
sono ormai da tempo stabilizzati tra la tarda età repubblicana e quella
imperiale. Ho provato quindi ad esplorare e proporre sentieri relativamente
nuovi perché in realtà ci sarebbero mille anni da raccontare e sono tutti
affascinanti. Il Tardo Impero è in affetti poco conosciuto, ma non per questo
meno avvincente delle epoche precedenti e l’Augusto Giuliano e i suoi
contemporanei si sono rilevati personaggi strepitosi, basti pensare che per
esigenze di trama, ho volutamente limitato ad una trentina i personaggi che
hanno realmente calcato la scena storica, ma avrei potuto metterne il doppio. Devo
dire che però in molti tra i conoscenti, hanno storto il naso quando dicevo
loro che stavo scrivendo un libro sul tardo impero, perché appunto considerato
un periodo decadente. Gli esperti di storia invece, hanno tutti apprezzato la
cosa.
B:
Lucio Petrosidio, aquilifero della Decima e poi della
Quattordicesima ne Le legione degli
immortali è un personaggio indimenticabile. Ma ancor di più – a mio modesto
parere – lo è Gaio Emilio Rufo, il primipilo. A me fa venire in mente il
grande condottiero greco Leonida. C’è qualche attinenza oppure sono
completamente fuori strada?
MC:
L’attinenza c’è nello spirito guerriero, se vuoi, ma credo che la fortuna di
Gaio Emilio Rufo, che tanto ha riscosso successo ne La Legione degli Immortali,
sia dovuta al fatto che è un personaggio ispirato a una persona reale, e quindi
l’ho potuto descrivere come meglio potevo, perché io l’ho conosciuto e lo
conosco bene. Gaio Emilio Rufo è stato il mio comandante di plotone sotto le
armi (con un altro nome, ovviamente!). Vi dico solo che in codice era chiamato
“Il Diavolo Nero” e l’ho dipinto con gli stessi tratti decisi che lui davvero
possiede. È stato un comandante duro, esigente, puntiglioso, voleva il massimo
dai suoi, ma dava il massimo. Pretendeva tanto, ma avrebbe fatto da scudo
all'ultimo del plotone, anche se questo lo capivi solo alla fine di un lungo
percorso di addestramento.
B:
Questa è una domanda che volevo porre da molto tempo a uno scrittore. Come si
decide di far morire un personaggio che si è creato? Lo si pensa già sapendo
quale sarà la sua fine o lo si decide in corso d’opera?
MC:
Quando si individua il momento storico da trasporre in un romanzo, si ha già l’idea
di ciò che succederà ai personaggi principali. Sai, molti destini sono davvero
stati segnati dagli eventi: non potevo inventarmi, ad esempio, una morte diversa
per Lucio Petrosidio e per l’Augusto Flavio Claudio Giuliano perché loro sono
davvero trapassati in quel modo. La fantasia dello scrittore è, dunque, molto
limitata dal rigore storico, ma vi sono poi personaggi secondari che nascono
proprio per esigenze di trame e che poi, in effetti, perdono la loro importanza
e potrebbero addirittura distrarre il lettore. In quei casi una morte prematura,
creata ad hoc, sistema il tutto. Non ti nascondo che per alcuni è quasi un
piacere.
B:
I tuoi personaggi – e non parlo naturalmente di quelli storicamente esistiti –
sono ispirati alla gente che ti sta intorno o ti basi solo sulle tue ricerche
storiche per inventarli?
MC:
Non ci sono delle regole precise, ogni personaggio è diverso, ti nasce in testa
in un modo: alcuni ben chiari e definiti, altri meno. Ne La Legione degli Immortali,
per esempio, buona parte del contubernium
di Petrosidio aveva le sembianze e gli accenti dei miei compagni di squadra
nell'esercito. Ne Il Vessillo di Porpora abbiamo un mix strepitoso dell’antipatico
Cato Deciano, che è un personaggio storico che ha commesso delle nefandezze, ma
del quale non abbiamo alcun resoconto del suo aspetto fisico. Ho quindi preso
un conoscente molto antipatico e l’ho associato e lui nei modi di fare e nella
fisionomia. Attenzione quindi a non fare gli antipatici con me, se non volete
rischiare di finire nel prossimo libro disarmati contro qualche nerboruto
gladiatore.
B:
Sempre rimanendo in tema di personaggi, mi incuriosiscono molto i personaggi
realmente esistiti. Come si trasporta una figura storica in un personaggio?
Come si tratteggia il suo carattere?
MC:
Anche in questo caso non c’è una ricetta. Per alcuni la storia è riuscita a
tramandarci un’immagine, una statua, una descrizione e anche qualcosa del suo
carattere; in questi casi si segue ciò che l’iconografia ci ha tramandato, ma
l’immaginazione gioca un ruolo molto importante per quanto riguarda il loro
carattere, la voce, i modi di fare. Qui chiaramente mi aiuto con gli esempi di
tutti i giorni: un conoscente con la voce profonda o con un particolare tratto
somatico.
La
cosa strepitosa è che scrivendo ho preso in simpatia o in antipatia i
personaggi storici che dovevo descrivere. È un po’ come la prima idea che ti
fai di una persona: a volte è quella giusta, a volte no. Ne La
Legione degli immortali ero sempre un po’ timoroso di dover fare
rapporto nella tenda di Cesare, perché nel mio subconscio è un personaggio
severo e autorevole. Ne Il Vessillo di porpora ero ammirato
da Svetonio che, al tempo stesso, mi stava molto antipatico, In Draco
non vedevo l’ora che Constanzo II morisse, e nel libro su Sertorio ho vissuto
una turbolenta convivenza: a inizio libro il generale mi ha molto attratto e
affascinato, alla fine non lo reggevo più, guarda caso in linea con ciò che la
Storia riporta di lui.
B:
Quali sono i tuoi progetti futuri? Possiamo aspettarci un nuovo romanzo? Puoi
anticiparci qualcosa?
MC:
Sto scrivendo un libro sulla battaglia del Sentino e ne ho pronto un altro
sulla campagna di Sertorio in Spagna. Un’idea, questa, che era nel cassetto già
prima che cominciassi a scrivere Draco, l’ombra dell’imperatore. Gli
scenari e la forte personalità di questo generale, lo rendono una delle figure
più controverse e discusse dalla storia di Roma.
Il
caso vuole che questa storia sia ambientata in Spagna, un paese che tanta
soddisfazione mi sta dando con la versione spagnola de La Legione degli Immortali,
edita da Ediciones B, che è già
arrivata alla sua terza edizione, traguardo che in Italia non è mai stato
raggiunto.
Ed è forse questa la
chiave di svolta: nonostante la vagonata di idee, forse la cosa migliore è
quella di puntare all'estero, perché, purtroppo, in Italia la nostra Storia
interessa davvero poco. E pensare a quanto siamo stati grandi!