lunedì 28 maggio 2012

V'là le bon vent

Rieccomi nuovamente, gente! Chi di voi ha letto Chocolat di Joanne Harris? Chi ha visto il film, invece? Chi entrambi? Beh, per chi non li conoscesse o avesse visto solo il film, ecco a voi la mia critica al romanzo.


TRAMA:
E' una fredda mattina di Quaresima, quando al villaggio di Lasquenet-sous-Tannes arrivano una donna e una bambina, avvolte nei loro mantelli rossi. Vianne e Anouk Rocher, madre e figlia, proprietarie di una cioccolateria, la Celeste Praline, vengono subito emarginate dagli abitanti del villaggio, bigotti e di mente ristretta. In particolare contro di loro si scaglia il curato della piccola città, Fransis Reynaud. Le cose peggiorano ulteriormente quando a Lasquenet arrivano un gruppo di zingari, tra cui spicca Roux, che vengono aiutati da Vianne. Ma il paesino è davvero pronto per tutti quei piccoli cambiamenti che Vianne porta? E, soprattutto, Vianne vuole davvero che il vento che l'ha portata fin lì se ne vada senza di lei?

RECENSIONE:
Dimenticate la favola bella raccontata nell'omonimo film del 2000. Dimenticate i bei zigomi di Johnny Depp e il sorriso armonioso di Juliette Binoche. E, se ci riuscite, cercate di dimenticare anche quell'atmosfera da Tutti insieme appassionatamente che fa da sfondo al film. Dimenticate tutto, perché solo così potrete riuscire ad apprezzare questo romanzo.
A una prima lettura, soprattutto se si è visto il film, Chocolat può deludere. Sembra tutto così spoglio, tutto così squallido senza quella vivacità luminosa che permea la pellicola cinematografica. Il romanzo, infatti, è molto più riflessivo. Ci mostra una Vianne spaventata e in fuga da un Uomo Nero non meglio identificato perché non si configura come un personaggio in carne e ossa, ma come un'entità non meglio precisata che perseguita la nostra eroina dovunque vada, assumendo i vari aspetti delle persone che incrociano il suo cammino. Nel caso di Lasquenet, l'uomo nero viene associato a Fransis Reynaud.
E che dire della magia? Nel film la magia assume i connotati sfumati di un'antica leggenda maya, ma qui la MAGIA sfocia in un'aura mistica, che pervade l'intera storia. I colori che avvolgono le persone, che ne mostrano l'anima e possono essere visti solo da persone dotate di una sorta di "dono", come sono Vianne e Anouk; gli animali - guida, come il coniglio Pantouffle, non completamente reali e visibili da tutti, ma nemmeno relegabili al semplice rango di amici immaginari; la cioccolata con la sua deliziosa scioglievolezza, la sua peccaminosa armonia, il suo gusto irresistibile.
Ed è proprio la cioccolata la vera protagonista, in tutte le sue forme, in tutte le sue dimensioni, in tutti i suoi innumerevoli gusti. Cioccolata calda fondente, mendiants alla menta, praline, ecc. Ogni persona ha il suo preferito, e per ognuno concederselo è come trovare per pochi infiniti attimi la vera felicità. E per questo la cioccolata appare per l'Uomo Nero così pericolosa. Perché quando le persone mangiano la cioccolata di Vianne, lui non può controllarle.
E, infine, il vento. E' il vento l'altra tematica fondamentale del romanzo, ma ho deciso di parlarvene con le parole stesse che usa Joanne Harris:

V'là le bon vent, v'la l'joli vent,
V'là le bon vent, ma mie m'appelle...
Sperando che questa volta rimanga una ninna-nanna. Che questa volta il vento non senta. Che questa volta... per piacere solo questa... se ne vada senza di noi.

Passando a considerazioni più tecniche, il libro è un piccolo capolavoro. Delicato ma sfuggente, dolce ma pungente, il libro racconta, con lo sguardo acuto di Vianne Rocher, che scrive in prima persona i suoi pensieri, i vizi e le virtù di una piccola cittadina con le sue bugie, i suoi segreti, i suoi pettegolezzi. Le descrizioni delle meraviglie di cui è capace la donna fanno letteralmente venire l'acquolina in bocca e sono molto realistiche.
Chocolat, nel complesso, è un libro malinconico, a tratti sfuggente, ma capace di far emozionare come solo pochi libri sono capaci. Non aspettevi, dunque, come ho scritto all'inizio, una favola bella, ma una storia a tratti realistica e a tratti assurda, ma più vera e profonda di quanto parrebbe esserlo in apparenza.
Un ultimo consiglio: leggete questo romanzo con calma, gustandolo pagina per pagina e, se dopo una prima lettura non vi ha appagati totalmente, mettelo in un angolo, aspettate qualche settimana, qualche mese, anche qualche anno, ma dopo riprendetelo in mano e leggetelo nuovamente perché è un romanzo che da il meglio di sé a una seconda rilettura.
Per il momento è tutto.

Biancaneve

giovedì 24 maggio 2012

La banalità si trasfoma in maestria

E sono di nuovo qui con una critica. Oggi mi occupo di recensire un libro di Marc Levy - il mio scrittore preferito - intitolato Sette giorni per l'eternità.


TRAMA:
Zofia è un angelo. Lucas è un emissario del Diavolo. Entrambi si ritrovano a San Francisco a lottare per far prevalere rispettivamente il bene e il male nella città. Nell'arco di sette giorni, infatti, gli umani dovranno compiere, sotto la loro influenza, il maggior numero possibile di azioni positive o negative. Perché? Perché, stanchi della loro infinita lotta, Dio e Satana hanno scommesso tra di loro: se vince Zofia, il Diavolo dovrà lasciare in pace gli umani, se vince Lucas, allora sarà Dio a doversene andare. Ma e se qualcosa nel loro piano andasse storto? E se Zofia e Lucas, due esseri opposti, fossero attratti l'uno dall'altra? Può l'amore tra un angelo e un demone esistere?

RECENSIONE:
Devo premettere che, tra tutti i romanzi che Marc Levy ha scritto, questo è quello che mi è piaciuto meno. La storia è banale: ancora una volta si tratta di una lotta tra bene e male che vuole essere risolutoria, ancora una volta ci sono due esseri opposti ma al tempo stesso complementari tra loro, ancora una volta un angelo e un demone che si innamorano. Fin qui la trama non ha nulla di speciale, nulla di nuovo nel suo schema e anche il colpo di scena finale è abbastanza prevedibile. Del resto si tratta di uno dei primi romanzi di questo scrittore, che palesa la sua passione per le storie inverosimili, assurde, capaci però di far sognare. Storie che, a distanza di quasi dieci anni da questo romanzo, si sono trasformate fino a diventare storie realistiche, che contengono al loro interno però sempre un accenno di paranormale che le rende uniche.
Ma, nonostante la banalità che la trama di questa storia e il suo stesso svolgimento suggeriscono, Sette giorni per l'eternità non è un romanzo da evitare. Non si tratta, infatti, dell'ennesimo romanzetto per ragazzine piene di idee fin troppo romantiche per la testa, che impazziscono per le storie di amori impossibili che vincono su tutto, un po' come il romanzo di Dorotea de Spirito, Angel, o la saga di Twilight di Stephanie Meyer (il fatto che in quest'ultima saga al posto dell'angelo e del demone ci siano un vampiro e un'umana non cambia la trama di base che è sempre la stessa).
Cosa rende, dunque, questo romanzo degno di essere letto?
Forse solo lo stile irriverente e spiritoso con cui è scritto. Un stile spesso indulgente, che glissa sugli aspetti più pretenziosi e che riesce a calibrare nella giusta misura romanticismo e ironia, delicatezza e pragmatismo. Solo per fare un esempio analizziamo la figura dell'Arcangelo Michele, nel libro chiamato semplicemente Michael. Michael viene qui proposto come un angelo dalle sembianze umane che presenta una folta capigliatura bianca, orgoglioso di essere paragonato a Sean Connery, di cui ripropone con una certa affettazione l'accento scozzese. Come si fa a non sorridere davanti a un personaggio del genere, che dovrebbe essere etereo e impassibile, e si presenta, invece, come un uomo vanitoso, tra l'altro lusingato dal paragone con un attore, una persona che per un angelo dovrebbe essere una qualunque tutto sommato, come farebbe qualunque essere umano? In realtà non dovrebbe importargli, dovrebbe mostrarsi, se non altezzoso e fiero, quanto meno distaccato da tutto questo. Ma è proprio questa caratteristica a farci sentire questo Arcangelo così vicino a noi.
Oppure prendiamo in considerazione altri aspetti, come la CIA, che qui diventa la Center Intelligence Angel, ovvero la centrale investigativa degli angeli, o Dio stesso, con occhi di un azzurro perforante e una scaltrezza simile a quella di Satana medesimo. E così via... (Non aggiungo altro perché non voglio svelare più di questo a chi non avesse ancora letto questo libro).
Posso quindi affermare con assoluta sicurezza che non è solo la trama a creare un buon libro, un libro originale come, nonostante quello che ho detto all'inizio, è questo. La trama è importante, assolutamente, ma fino a un certo punto, perché poi subentrano altri fattori, che vi spiegherò in seguito, in un post apposito. Per il momento accontentatevi di sapere che ho scelto di criticare proprio questo romanzo oggi per darvi le prime nozioni su come non giudicare un libro solo dalla sua copertina o dalla sua trama: un'ottima trama, infatti, può tranquillamente fare da sfondo a un pessimo romanzo, così come una trama banale e stantia può dar vita a un romanzo piacevole e divertente come questo.
Per il momento è tutto.

Biancaneve.

martedì 22 maggio 2012

L'assassino dagli occhi blu

E rieccomi con Il bambino dagli occhi blu di Joanne Harris. Per chi non lo sapesse Joanne Harris è l'autrice di Chocolat, di cui ho intenzione di postare la mia critica, appena possibile. Ma ora occupiamoci di questo romanzo, pubblicato nel 2011.

TRAMA:
Blueeyedboy è l'username usato da un blogger che, nella sua pagina, scrive finction su un assassino che identifica con se stesso. Blu è un assassino fin dal grembo materno, quando, inconsapevolmente ha ucciso il suo gemello e ha continuato a uccidere fino ai quarantatré anni, età che afferma di avere. Non si tratta di un serial killer, ma di un omicida efferato, intelligente, che crede nell'omicidio perfetto. Ma chi è davvero quest'uomo dai freddi occhi grigio - azzurri? Quello che scrive della sua infanzia e del presente è realmente accaduto? Sono le farneticazioni di un pazzo? Oppure si tratta solo di un uomo annoiato che si diverte a scrivere sul suo blog fiction a tinte forti? Un romanzo, questo, dove tutto e niente è come sembra.

RECENSIONE:
Delirante. E' il primo aggettivo che mi viene in mente quando penso a questo libro. Un delirio assoluto, in cui si mescolano magistralmente odori e parole, in una sinestesia perfetta. Gli odori, nei libri della Harris, del resto, sono praticamente la sua firma. Odori che conquistano, che vincono, che inebriano, che sembrano quasi reali. Odori invitanti, che fanno venire l'acquolina in bocca e, al tempo stesso, pericolosi.
Un thriller, Il bambino dagli occhi blu, diverso dal solito. I thriller, infatti, normalmente sono composti da una trama ben definita, con omicidi, con innocenti, con colpevoli. Ma questo romanzo, che si struttura sotto forma di un blog come questo, in cui il protagonista si sente libero di esprimere le sue emozioni, le sue sensazioni, la sua storia perché nessuno lo conosce davvero e nessuno può essere davvero sicuro che quello che pubblica sia reale o meno, è molto più di questo. Si configura, infatti, come un thriller psicologico sì, ma allo stesso tempo a chi legge sembra di trovarsi in un labirinto letterario, la cui via d'uscita è ben visibile ma, ogni volta che si è a un passo dall'arrivarci, una siepe di parole sbarrerà la strada, facendolo deviare.
E' molto acuto il modo in cui la Harris racconta il mondo dei blog con i post pubblicati, sempre più lunghi e arzigogolati, con i commenti dei followers, che Blueeyedboy definisce una vera droga. Nei post privati, inoltre, egli fa commenti sui suoi lettori, schernendoli perché credono di conoscerlo attraverso quello che scrive, che loro prendono per verità assoluta, ma in realtà estranei che egli si diverte a prendere in giro.
Cosa c'è di vero allora? Non si riesce ad afferrare davvero, lasciando il lettore perennemente in bilico, affascinato, ma anche vagamente nauseato da questo romanzo a tinte forti, capolavoro di una scrittrice poliedrica, capace di passare con grande disinvoltura da una delicata storia d'amore a un fantasy a un thriller, senza peraltro perdere il suo stile elegante, che riesce ad adattare con enorme bravura alle varie esigenze.
Un libro da leggere certamente, ma è meglio se prima vi accertiate di avere uno stomaco non troppo delicato e una senso della realtà molto forte, perché questo libro potrebbe lasciarvi una forte ansia addosso e farvi vedere con occhi diversi il mondo di internet, più di quanto facciano molti filmetti americani incentrati sui serial killer.
Quindi, gente, fate attenzione e lasciatevi stupire.
Per il momento è tutto.

Biancaneve

domenica 20 maggio 2012

Angeli e demoni

E rieccomi con un'altra critica. Oggi mi occupo di un libro molto in voga tra le ragazze tra i quattordici e i diciotto anni, Angel, l'amore è un demone di Dorotea de Spirito. Si tratta di un libro che rientra nella categoria degli urban fantasy (per chi non lo sapesse questo genere è una branchia del fantasy, un fantasy che però è ambientato nel mondo reale e non in una terra fantastica). Scoprite questo libro insieme a me.


TRAMA:
In una Viterbo in cui convivono da secoli pacificamente umani e angeli, Vichi si sente un ibrido. Lei è un angelo senza ali. Ed è, questa, una cosa che non riesce ad accettare pienamente. Chi è? O meglio, che cos'è? Chi potrà mai innamorarsi di lei? Queste le sue domande fino a quando in città non arriva lui, Guglielmo. E' una ragazzo stranamente inquietante. Lei sente il segnale di pericolo che emana, ma ne è attratta come una calamita. Guglielmo è un demone, il suo opposto, l'unico che può ucciderla. Riuscirà il loro amore a vincere su tutto?

RECENSIONE:
E' innegabile che il libro scorra e che si legga velocemente. Ma ciò basta a farne un buon libro? Sicuramente no. Partiamo dall'inzio. In primis la storia: è banale, scondita, senza un minimo di colpi di scena veramente efficaci. Senza parlare del fatto che rispecchia quasi passo per passo la trama di Twilight, con solo alcune minime differenze, come ad esempio il fatto che Vichi ha perlomeno il buonsenso, che a Bella manca, di provare a scappare dai sentimenti che prova per Guglielmo quando scopre chi sia in realtà.
Altra nota dolente nella trama è la manifesta incapacità, da parte dell'autrice, per altro giovanissima, - il libro è stato scritto da una Dorotea de Spirito all'epoca appena diciassettenne - di definire bene alcuni passaggi, alcune scene. Mi spiego meglio: la battaglia finale, solo per fare un esempio, viene raccontata in appena un paio di paginette e la situazione viene risolta in maniera provvisoria senza la presenza della protagonista - che narra in prima persona - opportunamente svenuta. Per non parlare dell'antagonista! Una figura che viene introdotta minacciosa solo negli ultimi capitoli, che uccide un personaggio totalmente ininfluente per la storia (anziché uno importante, come dovrebbe essere), e di cui si spiega con troppe poche parole la presenza, quando, in realtà, questa figura negativa doveva essere introdotta - o quantomeno nominata, o comunque avvertita come aleatoria presenza - fin dal primissimo capitolo.
Mettiamo da parte le lacune della storia, che l'autrice cercherà di colmare nel seguito di questo romanzo, che sta attualmente scrivendo e passiamo ad alcune considerazioni di carattere stilistico. Dorotea de Spirito usa la prima persona per creare una immedesimazione quasi totale della lettrice - si tratta di un libro seguito quasi esclusivamente da un pubblico femminile - con Vichi. La protagonista, infatti, si presenta come una qualunque adolescente, alle prese con la scuola, lo studio, gli amici, la paura di innamorarsi e, allo stesso tempo, di non riuscire a trovare la persona giusta. Oltre, naturalmente, a quell'assoluto bisogno di essere accettati dagli altri, di essere come loro ma, contemporaneamente, di essere diversi, unici, speciali, contraddizione, questa, ben messa in risalto con molta delicatezza.
Ma a parte questa nota positiva, la prima persona non viene usata bene. E' comune, fra i giovani aspiranti scrittori, credere che la prima persona sia la più facile da usare, perché permette loro di essere il protagonista. Ma non c'è nulla di più sbagliato in questo. La prima persona, infatti, non permette una visione globale della storia che, sopratutto in un fantasy, è essenziale. Infatti - come ho scritto sopra - in questo modo i "cattivi" appaiono in un punto non precisato della storia, senza che si crei un vero alone di mistero e di paura, che è più che fondamentale.
Il romanzo è scritto in uno stile semplice, forse un po' troppo inframmezzato da frasi brevi ed essenziali, perfino un po' spoglie. Decisamente buona la grammatica e la punteggiatura.
In definitiva credo che l'autrice abbia del potenziale, che emerge prepotentemente in alcuni tratti, ma viene completamente celato in altri. Questo potrebbe essere imputato alla sua giovanissima età e alla sua inesperienza, oltre all'influenza di alcuni libri da lei letti che rientrano nel genere dell'urban fantasy. In ogni caso credo che sia il caso di tenerla d'occhio.
Sarà in grado di stupirci positivamente con la sua crescita? Staremo a vedere.
Per il momento è tutto.

Biancaneve

sabato 19 maggio 2012

Le relazioni pericolose... con il cellulare!

Buongiorno a tutti. Dopo la presentazione di ieri, credo di poter oggi cominciare con le critiche. Vi posto quindi la mia valutazione riguardo uno degli ultimi libri che ho letto, Ho il tuo numero di Sophie Kinsella, al secolo Madeleine Wickham.

TRAMA: 
Poppy, scombinata fisioterapista, perde nello stesso giorno l'anello di fidanzamento e il cellulare. Come fare, a pochi giorni dal matrimonio? Poppy è nel panico e così, non appena vede un cellulare gettato in cestino dell'albergo dove si trova non ha nemmeno un attimo di esitazione: il cellulare adesso è suo. Peccato che quello sia un cellulare aziendale e così la ragazza, pur di non rinunciare a quel telefono, di cui sente di avere assolutamente bisogno, fa un patto con il suo legittimo proprietario: lei gli passerà tutti i messaggi e la posta elettronica che riceverà, e lui in cambio le lascerà usare quel numero solo fino a quando lei non avrà ritrovato l'anello.
Ma sarà davvero tutto così semplice?

RECENSIONE:
Leggero, ironico e frizzante, ottimo per una lettura senza pensieri. La trama è intrigante e divertente, piena di colpi di scena che non deludono. Scivola un po’ sul finale, più che prevedibile, ma soprattutto un po’ troppo plateale: per quanto ci possa far sognare una fine così, non è poi molto verosimile.
Ottima invece l’ironia evidente sul mondo dei docenti universitari, con i loro articoli pieni di paroloni che nessuno conosce, pubblicati su riviste esclusivamente “settoriali”; con i loro libri comprati quasi esclusivamente dagli studenti. Ma il punto che colpisce di più è quello delle cosiddette “note a piè di pagina”, usate dagli studiosi di ogni disciplina nelle loro pubblicazioni, usurpate con molta nonchalance da Poppy, giovane e frizzante protagonista, fisioterapista, quindi estranea a quel mondo, di cui invece fanno parte il suo promesso sposo, Magnus, e la famiglia di lui.
In modo divertente, ma allo stesso tempo molto acuto, viene affrontato anche il tema della dipendenza da smarthphone - ormai dilagante non sono tra le giovanissime generazioni - che è poi il leitmotiv del romanzo. Poppy, infatti, non esita a impossessarsi di un cellulare aziendale trovato in un cestino quando le rubano il suo, pur di non rimanere “scollegata” neanche un minuto.
E proprio quel cellulare la porterà a vivere due vite: quella reale, che la vede impegnata nei preparativi del suo matrimonio con Magnus, e quella “telematica”, che le fa incontrare Sam Roxton, pezzo grosso in un’azienda di consulenze e legittimo proprietario del cellulare, con cui condivide i messaggi e la posta elettronica per alcuni giorni.
E, naturalmente, la curiosità è donna: Poppy legge i messaggi e le mail indirizzate a Sam, senza alcun rispetto per la sua privacy, cosa che la porterà a farsi un giudizio totalmente sbagliato dell’uomo e la metterà in una situazione più grande di lei…
Il libro merita sicuramente di essere letto. La grammatica è perfetta (cosa purtroppo non scontata ai giorni nostri), la storia prende molto il lettore, “costringendolo” a divorare il romanzo in poche ore o, al massimo, pochi giorni. Lo stile è irriverente e spesso ironico, cosa che fa sì che il lettore si approcci alla storia con divertita indulgenza.
Per il momento è tutto.

Biancaneve

venerdì 18 maggio 2012

Chi è Biancaneve?

Chi è Biancaneve? Questa non è una presentazione ufficiale. Vi basti sapere che sono una ragazza poco più che ventenne con una grande passione: la lettura. Ho cominciato a leggere a sei anni e il mio primo "libro serio", cioè il mio primo vero libro dopo le favole, è stato "Piccole Donne" di Louisa May Alcott. Sono cresciuta con i suoi libri e con tutta una serie di libri per ragazzi (solo per citarne alcuni tra i più famosi: "Il piccolo Lord" e "Il giardino segreto" di Frances Burnett; "Pollyanna" di Eleanor H. Porter, "Cuore" di Edmondo de Amicis. Di quest'ultimo, avevo una predilezione per la storia "Il piccolo scrivano fiorentino" che, da piccola, mi facevo sempre leggere dal mio papà).
Naturalmente dopo mi sono evoluta e ho cominciato a leggere libri molto più seri, più "impegnati", libri non più per bambini, ma per ragazzi e per adulti. Ma una cosa per me non è mai cambiata.
Cosa? Vi chiederete. E io vi rispondo: il bisogno di perdermi nella lettura. Sì, perdermi. Perdermi nella Terra di Mezzo combattendo insieme ad Aragorn, Legolas e Gimli, perdermi per il castello di Hogwarts di notte sotto il Mantello dell'Invisibilità che mi copre insieme a Harry, Ron e Hermione, perdermi al San Francisco Hospital nel guardare il corpo di Lauren distesa su un letto, in coma cerebrale, e rendermi conto, insieme ad Arthur, che la donna al mio fianco è davvero il suo fantasma e non uno scherzo ben organizzato del mio migliore amico, Paul.
Ho coltivato la terra di Tara e ho sposato l'uomo che amava mia sorella pur di non vedermela portare via, ho pianto lacrime di dolore e perdita ogni volta che ho visto morire Beth, ho disprezzato il signor Darcy e ho rifiutato la sua prima, altezzosa proposta di matrimonio, prima di rendermi conto che, con il mio orgoglio e i miei pregiudizi, ho frainteso l'intera situazione e dato giudizi approssimativi.
Ho fatto tante cose in neanche vent'anni. Ho amato disperatamente, ho ucciso a sangue freddo, per mero calcolo, per passione e per errore, sono stata in prigione, e in terre inesistenti o troppo lontane perché un giorno arrivi davvero a vederle. Sono stata egoista e altre volte fin troppo buona. Sono stata sposata non so quante volte, per non parlare di quelle in cui ho tradito. Ho odiato, sono impazzita dal dolore. Sono stata grassa un giorno e anoressica quello dopo. Qualche volta sono persino morta.
E' questo il vero potere di un libro: ci permette di vivere un innumerevole numero di vite, di trovare amici meravigliosi che potremo riabbracciare ogni volta che rileggeremo un libro. E', come dice Umberto Eco, questa una sorta di ricompensa per la nostra mancanza di immortalità. Lì, seduti in poltrona, distesi su un letto, in piedi su un treno, potremo sempre scappare via dalla realtà e vivere ancora e ancora e ancora e ancora...

Biancaneve